


Il giovane e irruento Steve, capelli biondi e occhi azzurri come il cielo, corre veloce sullo skateboard e, sulle note di Wonderwall degli Oasis, allarga letteralmente lo schermo con le mani, come a volerlo inondare della sua euforia. È uno dei momenti più emozionanti di Mommy (2014), il film che ha rivelato al mondo il talento del canadese Xavier Dolan, regista, sceneggiatore, attore (e molto altro ancora) nato a Montreal il 20 marzo 1989.
Il successo di Mommy ha spinto tanti cinefili a recuperare i quattro film precedenti del “regista ragazzino”, capace di firmare la sua opera prima, J’ai tué ma mère (2009), ad appena diciannove anni. Il cinema di Dolan, dominato da famiglie disfunzionali, mamme eccentriche, personaggi problematici, e caratterizzato da uno stile registico molto personale, ha conquistato così tanti consensi da creare grandi aspettative intorno al suo nuovo film È solo la fine del mondo (2016), visto in queste ultime settimane nelle nostre sale. Ed ecco esplodere il dibattito. C’è chi ha gridato al capolavoro, chi invece (come me) pensa che sia un’opera con pregi ma anche difetti, meno potente di quella precedente, chi ancora lo ha stroncato ferocemente. Xavier resterà solo un enfant prodige o, con le sue indubbie capacità, saprà ritagliarsi un posto nella storia del cinema?
Solo il tempo (quel tempo che in È solo la fine del mondo incombe minaccioso sotto le spoglie di un orologio a cucù), come sempre, risponderà a questa domanda. Il suo prossimo film, il primo in lingua inglese (nel cast ci sono Kit Harington, Jessica Chastain, Natalie Portman e Susan Sarandon), si intitolerà The Death and Life of John F. Donovan e racconterà di un celebre attore americano che, a causa di una corrispondenza epistolare con un bambino di undici anni, finisce al centro di uno scandalo che distrugge la sua carriera. Una storia promettente per un banco di prova importante, che ci dirà in che direzione sta andando il giovane Dolan.


