


Denifire capolavoro una pellicola come Una vita difficile di Dino Risi potrebbe risultare persino riduttivo. È un pilastro della storia del cinema italiano, uno di quei film senza del quale il cinefilo avrebbe un anello mancante nel suo percorso di conoscenza della settima arte.
È il 1961 quando il magnifico incontro tra Risi, lo sceneggiatore Rodolfo Sonego e un Alberto Sordi al suo meglio genera la storia di Silvio Magnozzi, un passato da partigiano e un presente da integerrimo giornalista di sinistra, che dopo aver conosciuto il carcere e l’abbandono della moglie, deve piegarsi a fare da segretario a uno di quegli uomini di potere che anni prima aveva denunciato.
Quasi che Risi avesse una bacchetta magica, in questo film la commedia, il dramma e la Storia d’Italia dal periodo della Resistenza fino al boom economico si fondono alla perfezione e scorrono insieme come fossero acqua.
I momenti indimenticabili non si contano: Sordi e Lea Massari, affamati, che si imbucano ad una cena di una famiglia di nobili in attesa dei risultati del referendum del 1946; l’umiliante insuccesso del protagonista in occasione dell’esame universitario; Magnozzi/Sordi, spiantato a causa dei suoi ideali, che si ritrova solo all’alba in un viale di Viareggio mentre il resto dell’Italia gongola nel boom; Magnozzi che deve arrendersi all’involuzione politica e morale del Bel Paese dopo la rinascita. E naturalmente il finale, tra i più belli dell’epoca d’oro del nostro cinema, con quello schiaffo al commendatore che è disillusione, ribellione, rivincita.


