


Sergio Benvenuti si guarda allo specchio, si sistema i capelli e poi comincia a raccontare: “Un bel giorno, senza dire niente a nessuno, me ne andai a Genova e mi imbarcai su un cargo battente bandiera liberiana…”. No, non ci siamo. Scuote la testa, poi afferra accendino e sigaretta. Con questo gesto, nel suo sguardo sembra già cambiato qualcosa. Ricomincia daccapo a raccontare la storia: la voce è un’altra, l’atteggiamento è più sicuro, quasi borioso. La trasformazione è compiuta: ora è il “fregnacciaro” Manuel Fantoni.
È il 1982 quando Carlo Verdone decide che è già tempo di abbandonare la formula vincente usata in Un sacco bello e Bianco, rosso e Verdone. “I travestimenti e le gallerie di personaggi dei primi due film cominciavano a starmi un po’ stretti, rischiavo di restare un Fregoli, un virtuoso”, racconta Carlo. Con il suo terzo film Verdone fa un grande salto sia come attore, che come regista. Borotalco è una commedia matura, capace di far ridere a crepapelle ad ogni visione, ma anche piena di malinconia (pensate a quel finale sulle note di Un fiore per Hal degli Stadio) e profonda nei suoi contenuti: forse ognuno di noi nella vita ha finto o ha sognato di essere qualcun altro per cercare un’evasione come ha fatto Sergio.
Impreziosita dalla presenza di una luminosa e simpaticissima Eleonora Giorgi e dalle superbe interpretazioni di contorno di Angelo Infanti, Christian De Sica e Mario Brega, senza dimenticare le musiche di Lucio Dalla e degli Stadio, Borotalco è un esempio che i nostri giovani comici dovrebbero tenere a mente, per imparare a svoltare e maturare prima che la propria comicità diventi stanca e ripetitiva.


