


Una discesa a picco nell’inferno e poi il ritorno. E che ritorno. La resurrezione cinematografica di Mickey Rourke è tra le più emozionanti ed esaltanti che si siano viste nella storia del cinema. Star indiscussa dei mitici ’80, protagonista di cult come L’anno del dragone, Angel Heart e 9 settimane e ½, nel corso degli anni ’90 Rourke comincia a buttare la sua carriera e la sua vita al vento. Eccessi di droga e alcool, ruoli importanti rifiutati, il ritorno alla boxe (già praticata in gioventù) spengono velocemente la sua stella, mentre i combattimenti e la chirurgia plastica deturpano quel volto che ha fatto innamorare le donne di mezzo mondo.
Così, quando Darren Aronofsky decide di puntare su di lui per The Wrestler (2008), in molti pensano che il giovane e talentuoso regista di Requiem for a Dream sta per imbarcarsi in un’impresa folle. Rourke non solo è un attore finito e ingestibile, ma è anche reticente a cimentarsi nel wrestling, sport così lontano dal suo amato pugilato. Quel ruolo e quello script, però, sono un richiamo troppo forte, sembrano fatti apposta per lui. The Wrestler racconta di Randy “The Ram” Robinson, campione degli anni ’80 caduto in disgrazia, che a seguito di un infarto comincia a fare i conti con la propria esistenza, cercando di recuperare il rapporto con la figlia abbandonata e stringendo un legame con una spogliarellista matura e sensibile. Una storia troppo bella per essere rifiutata: Rourke si rimette in forma, prende quindici chili di muscoli e si cala nel ruolo con dedizione maniacale.
The Wrestler debutta vincendo il Leone d’oro a Venezia, poi raccoglie consensi ovunque. Rourke si aggiudica il Golden Globe e arriva da favorito alla notte degli Oscar, ma l’Academy gli nega la gioia della statuetta (che va a Sean Penn per Milk). Quello che conta di più, però, è che The Wrestler è destinato a rimanere nel tempo, con tutte le sue cose belle che ti riempiono la mente e il cuore: il velo di nostalgia in cui Aronofsky ha saputo avvolgere il racconto; la camera a mano che segue costantemente Randy, facendoci quasi toccare il suo corpo martoriato e sentire i battiti del suo cuore affaticato; la recitazione intensa di Marisa Tomei e lo sguardo ferito di Evan Rachel Wood; la colonna sonora piena di brani vintage; la struggente confessione di Randy a sua figlia, con gli occhi di Rourke capaci, ad ogni visione, di spezzarti il cuore e ridurti in lacrime.


