


Città del Messico, quartiere Roma, anno 1970. La camera è fissa sul pavimento del cortile di un’abitazione altoborghese, che viene inondato a intervalli regolari da acqua e schiuma. Sembra quasi una battigia bagnata dalle onde. Un’immagine singolare ma a suo modo poetica, con la quale Alfonso Cuarón si immerge e ci immerge nel mare dei suoi ricordi. Roma – primo lungometraggio dopo il grande successo di Gravity – è l’occhio del regista che scruta nella sua infanzia. Lo suggeriscono i movimenti di macchina sontuosi e felpati, che accompagnano lo spettatore in una storia familiare che, col trascorrere dei minuti, si fa sempre più coinvolgente e appassionante.
Toccante amarcord in folgorante bianco e nero, Roma è l’omaggio di Cuarón alle donne che lo hanno cresciuto. Al centro del racconto c’è la giovane di origine indigena Cleo (l’esordiente Yalitza Aparicio), domestica al servizio della signora Sofia (Marina de Tavira) e dei quattro figli di quest’ultima. Due donne generose, dal cuore grande, ferite e abbandonate da uomini piccoli piccoli. Sullo sfondo, una Città del Messico incandescente che sta per essere scossa da tumulti sociali e politici. Scene ad alto tasso simbolico come quella del terremoto e dell’incendio nel bosco, annunciano momenti bui per Cleo, per Sofia, per un popolo intero.
Cuarón fonde il ritratto intimo di famiglia con l’affresco sociale, ben alternando momenti di straziante tragicità (come il parto di Cleo che si intreccia al “Massacro del Corpus Christi” del giugno ’71), a istanti di struggente e consolante bellezza. E mentre si avvinghia pian piano al cuore, Roma celebra la forza di una solidarietà femminile che va oltre le differenze di classe e sancisce il trionfo di un uomo di cinema a 360 gradi (Cuarón è produttore, regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore del film).
Un’opera che passerà alla storia come la prima prodotta da Netflix a fare incetta di grandi riconoscimenti – Leone d’oro a Venezia e 2 Golden Globe, in attesa della notte degli Oscar dove giungerà con 10 nomination –, ma che merita innanzitutto di essere ricordata come la gemma del più ecclettico autore del Nuovo Cinema Messicano.


