


Agli inizi del Novecento, nella vivace Napoli della Belle Époque, Eduardo Scarpetta è il re indiscusso del teatro e il suo Felice Sciosciammocca ha soppiantato Pulcinella nel cuore del pubblico. Proprio all’apice del successo, decide di concedersi quello che si rivelerà un pericoloso azzardo, ovvero la realizzazione della parodia de La figlia di Iorio, tragedia firmata dal “Vate” Gabriele D’Annunzio. Denunciato per plagio dopo la sera del debutto, Scarpetta si ritrova ad affrontare una lunga e dura prova, che minerà anche i delicati equilibri della sua famiglia anticonvenzionale composta da moglie, amanti, figli legittimi e illegittimi.
Il genio e l’umanità, le virtù e i vizi, gli splendori e le miserie del grande attore e commediografo Eduardo Scarpetta raccontati in due ore e un quarto di cinema brioso, minuzioso, maiuscolo. È un ritratto lucido e a tutto tondo quello realizzato da Mario Martone, capace di immortalare sul grande schermo ogni angolo dell’eccentrica e complessa personalità di un uomo che ha fatto del teatro la sua vita, e della sua vita un teatro.
Lo Scarpetta martoniano sembra in effetti non scendere mai dal palcoscenico, persino tra le mura colorate e sfarzose di casa sua: una volta smessi i panni di Felice Sciosciammocca, eccolo indossare con eguale energia le maschere di marito ed amante, padre e zio, tiranno e seduttore, severo educatore e generoso maestro d’arte. E mentre lo vediamo in scena, è sempre più difficile capire dove finiscano i meriti di Martone e comincino quelli di un sublime Toni Servillo, mattatore scatenato e gaudente nella prima parte del film, incupito e sull’orlo della depressione nella seconda.
Descrivere, però, Qui rido io semplicemente come un biopic di alto livello significherebbe svilirlo. Perché l’ultima fatica del regista campano – nata da una sceneggiatura scritta insieme a Ippolita Di Majo – racchiude in sé tante storie e molti significati da afferrare e metabolizzare. Pensate alle vicissitudini di Vincenzo Scarpetta (interpretato dal giovane Eduardo Scarpetta, discendente diretto del protagonista), schiacciato dall’ombra ingombrante del padre-padrone e insofferente ai dettami dell’universo scarpettiano. O al dramma dei fratelli Eduardo, Titina e Peppino De Filippo, eredi del talento paterno ma condannati a un impietoso destino da figli illegittimi. O, ancora, alla vicenda di censura scaturita dalla parodia de La figlia di Iorio, che ci rimanda alla sempre attuale querelle sul politicamente corretto.
A tutto ciò si aggiungono le suggestioni personali di Martone e dello stesso Servillo, cresciuti a pane e palcoscenico, che si avvertono durante tutto il film e che fanno di Qui rido io un autentico inno al teatro. Basti citare la scena d’apertura dedicata a Miseria e nobiltà, con la cinepresa che spazia davanti e dietro le quinte, per poi esplorare la platea e le emozioni degli spettatori, generando un cortocircuito tra cinema, teatro e realtà.
Menzione finale per il corposo cast di contorno, ulteriore segno dell’accuratezza con cui è stata costruita quest’opera appassionante. E se gli attori più esperti sono una garanzia, i giovanissimi stupiscono per bravura e naturalezza, a cominciare dal piccolo Salvatore Battista nel ruolo (per niente facile) di Peppino De Filippo.
Voto: 4/5
Qui rido io, Italia, 2021. Regia: Mario Martone. Interpreti: Toni Servillo, Maria Nazionale, Cristiana Dell’Anna, Antonia Truppo, Eduardo Scarpetta, Roberto De Francesco, Lino Musella, Paolo Pierobon, Gianfelice Imparato, Iaia Forte, Alessandro Manna, Marzia Onorato, Salvatore Battista. Durata: 2h e 13’.


