


Per cinquant’anni Philomena Lee, un’anziana signora irlandese, ha tenuto un segreto sepolto in fondo al cuore. Poco più che ragazzina rimase incinta e venne mandata dalla famiglia a Roscrea, in un convento di suore che ospitava “svergognate” ragazze madri. Lì nacque Anthony, l’amato figlioletto che le fu sottratto all’età di tre anni per essere dato in adozione. Dopo una vita trascorsa senza sapere più niente di lui, Philomena ha deciso di rompere il silenzio. Insieme al brillante giornalista Martin Sixsmith, si è messa alla ricerca di Anthony intraprendendo un viaggio ricco di sorprese, dolci ed amare, spiazzanti ed inaspettate.
Questa incredibile storia è diventata prima un libro – scritto, appunto, da Sixsmith – e poi, nel 2013, un lungometraggio diretto da Stephen Frears, raffinato regista esperto in biopic (suo, tra gli altri, il celebrato The Queen). Se non avete mai visto Philomena, dopo la prima visione, statene certi, sentirete la necessità, quasi l’urgenza, di rivederlo. Un film veloce e travolgente, che scuote, commuove e riesce anche a far sorridere, tanto è intelligente l’ironia che lo attraversa. Ma soprattutto un’opera onesta come la sua protagonista, una donna che nonostante le ingiustizie subite fa della gentilezza un credo (“Sii gentile con le persone quando sei in cima, perché potresti ritrovarle nella discesa”, dice ammonendo il disilluso Sixsmith) ed imbraccia con facilità disarmante l’arma del perdono.
Poteva essere semplicemente un film di denuncia contro un terribile misfatto della Chiesa, e invece Philomena è, più di ogni altra cosa, un delicato ed intimo ritratto di donna, di madre e di credente. Fondamentale in questo senso è la sceneggiatura firmata da Jeff Pope e Steve Coogan, uno di quei copioni che ogni regista vorrebbe ritrovarsi tra le mani. Con la medesima bravura, Coogan ha saputo anche vestire i panni di Martin Sixsmith, dando vita a sapidi ed appassionanti duetti con Judi Dench. L’attrice britannica, immensa nel dar volto a Philomena Lee, è per lo spettatore una sorgente inarrestabile di emozioni.


