


Il cinema è capace di far miracoli: nei prossimi mesi risorgerà sugli schermi il compianto Philip Seymour Hoffman, grazie a due film che aveva girato prima di morire. Il 30 ottobre uscirà A most wanted man, un thriller diretto da Anton Corbijn, nel quale Hoffman sarà protagonista, affiancato da Rachel McAdams, Robin Wright e Willem Dafoe. Il film è già uscito negli USA, riscuotendo un buon successo sia di critica, che di pubblico. Successivamente, a partire dal 20 novembre, lo rivedremo in un’altra veste che lo ha reso amato, quella del caratterista, nel nuovo capitolo della saga Hunger Games, Il canto della rivolta parte 1, per la regia di Francis Lawrence.
Sembra quasi un segno del destino, dunque, che il suo saluto al mondo del cinema arriverà ancora una volta nel segno della versatilità, caratteristica che lo ha contraddistinto nella sua breve ma intensa carriera. Ricordo ancora la sua prima apparizione importante, in Scent of a Woman (1992): quel paffuto e fulvo ragazzone rubava la scena persino ad un Al Pacino all’apice della sua forma. Tra le sue tante performance di alto livello è doveroso citare per prima quella in Truman Capote – A sangue freddo (2005), in cui vinse uno strameritato Oscar. Ma ci sono altri due ruoli che, alla luce della sua tragica morte, mi fanno ripensare a lui con emozione. Il primo è il professor Jakob ne La 25a ora di Spike Lee (2002), personaggio in cui Hoffman sembra aver riversato tutta quella timidezza garbata che tanto lo contraddistingueva nella vita fuori dal set. L’altro è il protagonista di Onora il padre e la madre (2007), in cui il grande Sidney Lumet ha tirato fuori tutta la sua bravura: interpretava un figlio eroinomane e dissoluto, consumato dal rancore verso il padre, che proprio nulla aveva in comune con il pacifico Philip, se non quella debolezza per la droga che ce lo ha strappato via troppo presto.


