


A Paterson, nel New Jersey, c’è un uomo sulla trentina che si chiama come la sua città. Fa il conducente d’autobus, è sposato con Laura e passa le giornate sempre allo stesso modo. Si alza all’alba, va a lavoro, torna a casa, cena con la moglie, porta a spasso il cane, si trattiene al bar del suo amico e poi va a dormire. Sembrerebbe una vita monotona e grigia, ma non lo è affatto. Dentro il petto di Paterson pulsa il cuore di un poeta che coglie la bellezza ovunque, in tutte le cose, e le annota in versi sciolti su un taccuino segreto. Paterson è un uomo che ad ogni risveglio contempla la bellezza esotica della sua compagna, cerca l’ispirazione persino in una scatola di fiammiferi, assapora l’umanità che c’è nelle parole di chi sale a bordo del suo autobus, trova la gioia nelle sue serate tutte uguali (“Stacco dal lavoro / Mi faccio una birra al bar / Guardo il bicchiere e mi sento contento”, scrive in una poesia).
L’ultimo film di quell’autore geniale e fuori dagli schemi che è Jim Jarmusch si muove con il passo lento e felpato del suo protagonista, eppure è incredibilmente carico di vitalità. È pieno d’ironia da strappar risate, bello da vedere come la tavola di cupcakes di Laura, sorprendente come un dialogo sull’anarchico Gaetano Bresci tra due simpatici adolescenti (impersonati dagli ex bimbi ribelli di Moonrise Kingdom). Ha il sapore delle premure che i due giovani sposi si scambiano, ed il tocco inconfondibile del suo regista che, con l’inquadratura giusta, ti fa stare sempre dentro il mondo di quell’uomo che ha lo sguardo profondo e i lineamenti irregolari di Adam Driver.
Paterson celebra qualcosa di insolito, ma bellissimo: l’amore nella sua quotidianità e la bellezza della routine. È un’ode alla semplicità che, in questi tempi così forsennati, fa bene alla mente e all’anima.


