


Monica Vitti è stata tante cose, sul grande schermo e fuori.
È stata moglie, madre e amante. Aristocratica, borghese e popolana. Ladra, prostituta e ragazza con la pistola.
È stata incarnazione dell’incomunicabilità e del disagio esistenziale per il mentore Antonioni, mattatrice della commedia all’italiana (unica donna nell’irresistibile squadrone dei colonnelli della risata).
Ha profuso graffiante ironia nella vita come nel Dramma della gelosia di scoliana memoria, ha incendiato il cinema di Albertone Sordi come nessun’altra ha saputo fare.
È stata interprete multiforme per i maestri più disparati, da Monicelli a Risi da Buñuel fino a Eduardo.
È stata mora dagli occhi malinconici, bionda dal sorriso largo e contagioso.
Si è rivelata portatrice sana di italianità e di femminilità, diva senza divismi.
E poi è stata una voce. Una voce roca e profonda, che ha reso sensazionali dialoghi e battute di film indimenticabili. Una voce speciale, che ti fermi ad ascoltare ogni qualvolta scorre un’intervista di repertorio.
Perché oltre che un’attrice enorme, Monica è stata donna di spessore e un punto di riferimento.
Un’icona della settima arte e un volto familiare, da tramandare come le cose belle e rare.


