


Dopo essere rimasta senza casa e senza lavoro a causa del tracollo economico di Empire, cittadina aziendale del Nevada legata alla produzione del cartongesso, la sessantenne Fern decide di fare i bagagli e di partire a bordo del suo van per sperimentare la vita da nomade. Quell’esistenza al di fuori della società convenzionale, le permetterà pian piano di ridare un senso ai propri giorni e di metabolizzare la perdita dell’amato marito Bo.
La quintessenza del terzo lungometraggio firmato dalla 39enne Chloé Zhao – tratto dall’omonimo libro inchiesta di Jessica Bruder – è nella messa in scena di un viaggio dalla duplice valenza.
Da un lato Nomadland è un percorso di elaborazione del lutto proteso verso il passato della protagonista, impegnata a scavare nel ricordo dell’uomo con cui ha condiviso tutto. Un ricordo cui accediamo esclusivamente attraverso il volto autentico ed espressivo di Frances McDormand: a parlare sono i sorrisi che si spengono nella malinconia, gli sguardi commossi al cospetto di una vecchia foto o di un indumento del compianto consorte, le rughe scolpite come le rocce erose dei deserti americani immortalati dalla cinepresa di Zhao.
Dall’altro, invece, il viaggio di Fern è quello di chi vuol lasciarsi alle spalle la desolazione e la povertà, di chi cerca un futuro nonostante il sogno a stelle e strisce si sia ormai spezzato da tempo. Zhao dà voce all’altra America, quella dei loser che provano a ritrovare se stessi girovagando, facendo lavori part-time e connettendosi alla natura incontaminata. Il taglio documentaristico conferito dalla regista cinese, rafforzato dalla presenza di veri homeless in veste di attori, fa cogliere appieno lo spirito di questo microcosmo itinerante, composto da individui che si alimentano tanto di sinceri momenti di condivisione, quanto di necessari istanti di solitudine riflessiva e contemplativa.
Pur costellato di acute considerazioni sulle brutture del sistema capitalistico, Nomadland appare soprattutto come un film sulla solidarietà e sulla resilienza immerso in atmosfere western e condotto da una straordinaria McDormand, antieroina a bordo di un van che percorre in lungo e in largo la frontiera americana, per poi chiudere silenziosamente il cerchio ed uscire di scena come il John Wayne di Sentieri selvaggi.
Come se non bastasse, questo dramma intimista on the road ha acquisito un ulteriore, imprevisto significato, frutto delle suggestioni del nostro attuale vissuto. Le peregrinazioni di Fern, i paesaggi sterminati e crepuscolari, i chilometri macinati sulle lievi note di Ludovico Einaudi, finiscono per avere un effetto catartico su noi reduci da oltre un anno di restrizioni e periodici lockdown. E ci insegnano che non si deve mai dire “addio”, perché ci rivedremo, un giorno o l’altro, lungo la strada.
Voto: 4/5
Nomadland, USA, 2020. Regia: Chloé Zhao. Interpreti: Frances McDormand, David Strathairn, Linda May, Charlene Swankie. Durata: 1h e 48’.


