


Francesco Rosi non c’è più. Uno dei più grandi registi che l’Italia abbia mai avuto, ci ha lasciati all’età di 92 anni. Il sorriso caldo, gli occhi intelligenti, la voce inconfondibile ci mancheranno tanto. In compenso restano i suoi capolavori e quel modo straordinario con cui la Grande Storia si trasformava in cinema.
È stato a tutti gli effetti l’inventore del film-inchiesta: nel 1962, con Salvatore Giuliano riuscì a fare luce su una pagina di storia che alla gente risultava ancora oscura, mescolando con sapienza fiction e ricostruzione storica. Allo stesso modo smosse molte coscienze con Il caso Mattei (1972), film in cui si avvalse di uno strepitoso Gian Maria Volontè e attraverso il quale ebbe il coraggio di affrontare e sviscerare una vicenda che, nonostante il trascorrere del tempo, resta ancora oggi scottante.
Dall’incontro con Volontè nacquero altre opere fondamentali come Uomini contro (1970), Lucky Luciano (1973) e Cristo si è fermato a Eboli (1979).
Tra i tanti suoi altri film indispensabili per la formazione del cinefilo, voglio concludere con quello che più di tutti sembra rimasto immune al passare degli anni, Le mani sulla città (1963). Rivedere oggi quella storia di collusioni tra funzionari di Stato e costruttori edili truffaldini, genera ancora la sensazione angosciante che nel Bel Paese certe cose non siano cambiate affatto.


