MANK. RECENSIONE

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Nel 1940, il giovane e promettente Orson Welles (Tom Burke) partorisce l’idea del futuro capolavoro Quarto potere e affida all’esperta penna di Herman J. Mankiewicz (Gary Oldman) la stesura del copione. Per dar vita allo script, l’estroso sceneggiatore trae ispirazione dai ricordi degli anni trascorsi alla MGM, durante i quali ha conosciuto da vicino il controverso magnate della stampa William Randolph Hearst (Charles Dance) e ha stretto un’intensa amicizia con l’amante di quest’ultimo, l’affascinante attrice Marion Davis (Amanda Seyfried).

In tempi di crisi per il cinema (e non solo), il nuovo film di David Fincher sembra arrivare come una manna dal cielo. Perché oltre a raccontare la storia di un grande sceneggiatore dimenticato e la genesi di una pellicola incommensurabile, Mank è un emozionante tuffo nella lontanissima e gloriosa Golden Age hollywoodiana, quando la “fabbrica dei sogni” seppe superare – rinnovandosi – la Grande depressione e tenne alto il morale del pubblico morso dallo spettro della miseria.
Fincher non si limita però a mettere in scena la classica “operazione nostalgia”, svelando allo spettatore anche il volto oscuro e ambiguo di un cinema ammanicato con la politica e capace – con la sua forza persuasiva – di influenzare nientemeno che le elezioni governative; oppure mostrando il lato prepotente dell’industria, incarnato dai tycoon che prima boicottarono la realizzazione di Quarto potere e dopo gli negarono un lecito trionfo agli Oscar.
Basterebbero questi risvolti di trama (con molti rimandi al presente) per testimoniare la bontà e la complessità della sceneggiatura su cui poggia le basi Mank, firmata dal papà di Fincher, Jack, e tenuta nel cassetto per oltre vent’anni. Un lavoro di scrittura minuzioso, sfociato in un film in grado di descrivere in profondità i personaggi, di narrare tante storie e tante vite senza perdersi mai, e di sfruttare al meglio dialoghi densi e sagaci, spesso sospinti dalle note (mai invadenti) del duo Trent Reznor – Atticus Ross.
Il cinefilo avrà poi di che gongolare di fronte al suadente bianco e nero vintage di Erik Messerschmidt, alle deliziose citazioni, ai continui andirivieni temporali e, naturalmente, all’interpretazione di Gary Oldman. L’attore britannico – che domina il film dalla prima all’ultima scena – restituisce tutto il talento, la sensibilità e l’irriverenza di un Don Chisciotte autodistruttivo in perenne lotta con i potenti di Hollywood e le loro arroganze.
Un importante uomo di cinema sull’orlo del dimenticatoio e a cui il regista di Seven ridona la legittima ribalta, pur senza sminuire il mito Orson Welles. Perché apparirà pure poco in Mank, ma la sua presenza e il suo genio aleggiano attraverso la regia robusta di Fincher, che ammicca esplicitamente a quella di Quarto potere.
E una volta terminata la visione, il desiderio di rivedere il sommo capolavoro wellesiano sarà tanto naturale quanto irrefrenabile.

Voto: 4/5

Mank, USA, 2020. Regia: David Fincher. Interpreti: Gary Oldman, Amanda Seyfried, Lily Collins, Charles Dance, Arliss Howard, Tom Burke. Durata: 2h e 11’.

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