


Pietro è un ragazzino di città, Bruno l’ultimo bambino di uno sperduto villaggio di montagna dove la famiglia di Pietro va a trascorrere le vacanze estive. Tra i due nasce un sentimento d’amicizia che non si affievolirà mai, nemmeno quando per diversi anni si perderanno di vista. Una volta adulti, si ritroveranno e si daranno man forte per superare i rispettivi momenti di difficoltà.
La cosa che colpisce subito de Le otto montagne è la scelta, spiazzante, dei registi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch di utilizzare il formato 4:3, rinunciando all’orizzontalità nel rappresentare la bellezza dei paesaggi valdostani che fanno da sfondo alle vicende. Una scelta probabilmente dettata dalla volontà di restituire il più possibile la verticalità della montagna, ma anche dal desiderio di racchiudere la storia di Pietro e Bruno in una cornice stretta, come a volerne accentuare la dimensione intima.
È in questo “quadrato” dunque che si svolge l’adattamento dell’omonimo romanzo di successo di Paolo Cognetti, che gli autori belgi – marito e moglie nella vita – hanno scritto durante il lockdown nel pieno di un momento di crisi di coppia. Un dettaglio non irrilevante, se è vero che quest’opera cinematografica trabocca di sentimenti autentici, pur mantenendo sempre uno stile sobrio e antiretorico.
Accompagnato dalle musiche crepuscolari e dalla voce calda del cantautore svedese Daniel Norgren, il film di Van Groeningen e Vandermeersch incede con passo lento e costante, proprio come quello dello scalatore, svelando scena dopo scena i suoi molteplici aspetti. Le otto montagne è un’ode alla vita montanara, con tutte le sue impagabili bellezze e le sue latenti insidie; è un potente inno all’amicizia che resiste al tempo e alle stagioni, nutrendosi di lealtà, rispetto e amore disinteressato; ma è anche il racconto sentito e profondo dell’importanza del legame padre-figlio, che rivela una connessione molto forte con il lungometraggio precedente di Van Groeningen, Beautiful Boy.
Sorgente limpida di emozioni e di riflessioni, Le otto montagne narra in particolare di rimpianti e di rimorsi, di cadute e di rinascite, di sogni infranti e di promesse da mantenere, di orme paterne da rifuggire o da ricalcare. E mentre tutto ciò scorre pare di respirare l’aria frizzante di montagna e le suggestioni che circonfondono i due protagonisti, interpretati con passione e grande dedizione da Luca Marinelli e Alessandro Borghi.
Marinelli presta il suo sguardo intenso all’errabondo e sensibile Pietro, plasmando un personaggio introspettivo che starebbe benissimo in un film di Terrence Malick. Borghi dà volto ed anima al montanaro Bruno incarnandone – nel vero senso della parola – lo spirito, la testardaggine, la generosità. Guardandoli assieme e avvertendo la chimica che li unisce è impossibile non ripensare con gratitudine a Claudio Caligari, che nel 2015 ebbe l’intuizione di metterli uno accanto all’altro in Non essere cattivo.
L’imponenza della coppia protagonista non oscura, tuttavia, il lodevole contributo degli attori di contorno, cui Van Groeningen e Vandermeersch concedono il giusto spazio. Tra loro spicca un Filippo Timi al suo meglio, capace di arricchire di molte sfumature la figura-chiave di Giovanni, papà di Pietro e genitore putativo di Bruno.
Voto: 4/5
Le otto montagne, Italia-Belgio-Francia, 2022. Regia: Felix Van Groeningen, Charlotte Vandermeersch. Interpreti: Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Filippo Timi, Elena Lietti, Elisabetta Mazzullo, Lupo Barbiero, Cristiano Sassella, Andrea Palma, Surakshya Panta. Durata: 2h e 27’.


