L’ATTIMO FUGGENTE 30 ANNI DOPO

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Quando il professor Keating entra in classe per la prima volta, fischiettando sornione, e invita i ragazzi a seguirlo fuori dall’aula, è come se Robin Williams ci afferrasse da un braccio per trascinarci tra i giovani studenti ad ascoltare più da vicino la sua regola di vita, la filosofia del carpe diem. È una specie di magia che si ripete ad ogni visione, una magia che dura da trent’anni.
Era infatti il giugno del 1989 quando L’attimo fuggente (Dead Poets Society) di Peter Weir usciva negli Stati Uniti, innescando un passaparola positivo che lo avrebbe sospinto  – a sorpresa – tra i campioni d’incassi della stagione. Un film che seppe coniugare alla perfezione la sua solida struttura classica (la sceneggiatura di Tom Schulman fu premiata con l’Oscar) all’estro e all’imprevedibilità di Williams, che sul set improvvisò continuamente, dando ulteriore verve al racconto. E pensare che per il ruolo del protagonista furono considerati Dustin Hoffman, Liam Neeson, Tom Hanks ed altri ancora. Come sarebbe stata questa pellicola con un altro attore? Meglio non pensarci nemmeno: John Keating è Robin Williams. Punto. Quel regista intelligente che è Peter Weir, del resto, capì subito quanto quella parte fosse tagliata per Robin, che in gioventù aveva frequentato una scuola privata simile a Welton.
Weir si dimostrò acuto e lungimirante anche nello scegliere i ragazzi e nel prepararli al film facendogli trascorrere più tempo possibile insieme, durante il quale spesso si immergevano nella lettura e nella scrittura di versi in compagnia del loro “Capitano”. Il risultato è evidente ancora oggi: L’attimo fuggente sa scaldare sempre il cuore, ci rammenta quanto sia importante “succhiare il midollo della vita” e continua a istillare amore per la letteratura e per i grandi poeti americani.
Come è vero, certamente, che la drammatica morte di Williams, avvenuta quasi cinque anni fa, ci fa rivedere questo classico con po’ di nostalgia in più nel cuore, soprattutto quando si giunge all’emozionante epilogo: quello sguardo d’addio con cui Keating saluta i suoi giovani “poeti estinti”, oggi, ha un sapore ancora più particolare.

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