


Carlo Verdone ha confessato senza pudori che, il giorno del primo ciak di Compagni di scuola (1988), si è ritrovato a versare lacrime per il terrore del fallimento. Girare in poche stanze di una villa con una ventina di protagonisti era cosa ardua e, ancora di più, si era reso conto che stava per cambiare radicalmente il suo cinema, abbandonando la comicità macchiettistica e aspirando a girare una commedia dalle venature drammatiche.
Il buon Carlo non poteva immaginare che, invece, il risultato finale sarebbe stato un cult che oggi i suoi seguaci conoscono a memoria come fosse un disco dei Beatles o dei Doors.
Nella storia recente del nostro cinema, di rado si è vista una galleria vincente di personaggi così variegata e, soprattutto, la sapienza del regista nell’indovinare chi avrebbe dovuto interpretarli. Basti pensare a quell’Angelo Bernabucci che Verdone ha letteralmente pescato dalla strada, un attore nato ma che non sapeva di esserlo: oggi vi immaginereste il suo Finocchiaro con un’altra faccia e un’altra voce? Oppure a Christian De Sica perfetto nei panni (inguardabili) del cantante fallito Tony Brando, un cialtrone che sembra uscito da una vecchia commedia all’italiana.
Che dire, poi, della sceneggiatura impeccabile (scritta da Verdone con la magica coppia Benvenuti-De Bernardi), in cui le situazioni esilaranti nascondono spesso un risvolto amaro, a volte feroce (emblematica la vicenda del povero Fabris), mentre l’incontro tra i vecchi compagni di classe del liceo avanza verso l’ineluttabile verità finale: le rimpatriate dopo tanti anni possono far male, le gioie della vita sono poche, i fallimenti e le disillusioni tante. È tutta qui la vera grande lezione del “malincomico” Carlo.


