


Seydou e Moussa, due cugini adolescenti di Dakar, decidono di lasciare la propria terra per raggiungere l’agognata Europa. Ma il viaggio per attraversare il deserto, la Libia e infine il Mediterraneo si rivelerà più lungo e duro di quanto avrebbero mai potuto immaginare.
L’undicesimo lungometraggio di Matteo Garrone – che ha scritto il copione insieme a Massimo Gaudioso, Massimo Ceccherini e Andrea Tagliaferri attingendo da diverse storie vere – nasce da un’idea illuminante, quella di ribaltare la prospettiva da cui guardiamo il viaggio dei migranti africani verso il nostro continente.
Di certe peregrinazioni noi conosciamo soltanto (e per sommi capi) l’epilogo, specialmente nei suoi aspetti tragici e per lo più tramite i mezzi di informazione. Io capitano, invece, quel viaggio ce lo mostra nella sua interezza e, soprattutto, ce lo fa sentire attraverso lo sguardo di chi lo vive sulla propria pelle, con una narrazione che rifugge sempre i cliché e le facili retoriche.
Già il folgorante incipit è una dichiarazione d’intenti. La cinepresa di Garrone si addentra in uno spicchio di Senegal vivace, colorato, armonioso, dove la gente se la cava dignitosamente nonostante la povertà. E dove una madre tosta e premurosa, quella di Seydou (il bravissimo esordiente Seydou Farr), ammonisce il figlio che il cammino verso l’Europa non è una passeggiata. Non c’è una guerra, né una carestia o una situazione di disagio a spingere i due giovani a partire. Semplicemente, il loro mondo è troppo piccolo per contenere i propri sogni, che sono grandi come quelli di tanti coetanei di ogni paese e latitudine.
Io capitano è un film sincero e avvincente, lineare eppure articolato, che porta dentro di sé diversi generi e rimandi. C’è il road movie e c’è il racconto di formazione, l’Odissea e Cuore di tenebra, e – in più – una riuscita commistione di due elementi cardine del cinema di Garrone, il realismo e la fiaba. Il regista romano crea di fatto una sorta di connubio tra Gomorra e Pinocchio, con il quale ci narra di sogni e di bruschi risvegli, dell’orrore e della solidarietà, del peso della responsabilità e di un Paese dei Balocchi che ammicca dallo schermo di un telefonino.
I momenti esplicitamente fiabeschi, così come la scelta di non mostrare gli aspetti più cruenti della storia, stemperano l’alto tasso di drammaticità delle vicende, ma dicono pure quanto Garrone non cerchi mai la compassione del pubblico. Perché l’obiettivo del film è innanzitutto quello di dare voce ai sentimenti, alle sensazioni e alle speranze dei migranti, strappandoli all’anonimato delle cronache dei notiziari a cui siamo ormai assuefatti.
È un’opera potente e sobria Io capitano, e resta tale fino all’atteso atto conclusivo nelle acque del Mediterraneo. Un finale essenziale, incisivo, emozionante, che non va spiegato né raccontato. E che ci ricorda quanto, a volte, la forza di un primo piano valga più di mille parole.
Voto: 4/5
Io capitano, Italia-Belgio, 2023. Regia: Matteo Garrone. Interpreti: Seydou Sarr, Moustapha Fall, Issaka Sawagodo, Hichem Yacoubi, Doodou Sagna. Durata: 2h e 1’.
Foto: Greta De Lazzaris


