


Di tanti grandi film del passato spesso si dice, rivedendoli, che sono invecchiati bene. Ce ne sono altri, invece, ed è merce rara, che non sono proprio invecchiati. Uno di questi è Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto.
Sono passati quarantacinque anni da quando Elio Petri, insieme ad Ugo Pirro, si inventò la grottesca storia del capo della Squadra Omicidi che uccide la sua amante per dimostrare di essere intoccabile. Sullo sfondo l’incandescente Italia sessantottina, con gli Anni di piombo alle porte. Sono un’epoca e una società così lontane, eppure riguardando il film oggi molte cose risultano ancora attuali. Prediamo una delle tante scene di culto, quella in cui il “Dottore” (Gian Maria Volonté) usa l’ignaro idraulico (Salvo Randone) per portare a buon fine la sua macchinazione. Il mite “stagnaro” prima si fida dell’uomo di potere poi, una volta scoperti gli altarini, è terrorizzato dal quel sistema che invece di tutelarlo gli si ritorce contro. Ė una scena che suscita persino ilarità, ma che ha un sottotesto inquietante, perché ci ricorda che nelle istituzioni può esserci un lato oscuro.
Al di là della potenza della sceneggiatura e dei suoi significati, però, se questo film è divenuto immortale è anche perché Petri ha costruito una macchina perfetta, che si muove al ritmo della colonna sonora di Morricone. La partitura del grande Ennio è un susseguirsi di note accattivanti e al tempo stesso martellanti come il suo protagonista, un gigantesco e istrionico Volonté, che mitraglia lo spettatore a colpi di sguardi minacciosi e sproloqui in salsa siciliana.


