


La Capitale deserta e arsa dal caldo, la spider di Bruno Cortona/Vittorio Gassman che sfreccia sulle strade assolate, Catherine Spaak in costume sulle affollate spiagge della Toscana. Frammenti di cinema vividi e indelebili, che ci fanno associare da sempre Il sorpasso di Dino Risi all’estate e alla festività di Ferragosto. Eppure il capolavoro di quell’arguto milanese che si laureò in medicina ma spese (benissimo) la sua vita per la settima arte, uscì nelle sale alle soglie della stagione più fredda, precisamente il 5 dicembre del 1962.
E fu un debutto, si racconta, piuttosto in sordina. Lo stesso Risi – che scrisse la sceneggiatura del film con Ruggero Maccari ed Ettore Scola partendo da un soggetto di Rodolfo Sonego – rammentò una volta che alla prima c’erano soltanto cinquanta persone. Il successo, tuttavia, era appena dietro l’angolo e non tardò ad arrivare. Gli italiani furono presto ammaliati da quella commedia spassosa, frizzante e dolceamara, che univa al fascino irresistibile della strana, meravigliosa coppia Gassman-Trintignant un ritratto dell’Italia del boom talmente sagace e profondo da mettere lo spettatore allo specchio.
Da quel lontano dicembre di sessant’anni fa sono cambiate tante cose, è cambiato il mondo intero, ma la forza seduttiva di questa pellicola è tutt’altro che diminuita. Anzi, Il sorpasso appare ogni anno sempre più bello, significativo, sfaccettato.
Salire a bordo della Lancia Aurelia B24 assieme al cialtrone Bruno e al timido Roberto è come acquistare un biglietto per la macchina del tempo. In quel viaggio da una Roma ancora pulita e provinciale fino al mare della Versilia che fu, possiamo toccare con mano splendori, illusioni e vacuità del miracolo economico. Le immagini, cadenzate dalle hit di Edoardo Vianello, Peppino di Capri e tanti altri, raccontano l’atmosfera gaudente e spensierata di un Bel Paese che dondolava con il twist, ignaro che dietro l’ultima curva c’era ad attenderlo la fine di un sogno.
Guardando, però, Il sorpasso da un altro punto di vista, ci accorgiamo anche di quanto siano incredibilmente attuali il suo messaggio e i due protagonisti. Bruno è l’emblema dell’italiano smargiasso, furbo e cinico, per certi versi ammirato, che sopravvive a tutto, persino ai suoi fallimenti. Roberto è invece il cittadino modello, modesto nonostante le sue indubbie virtù, sopraffatto da mille dilemmi. Tra i due è il secondo a soccombere, in un epilogo vero e doloroso che – purtroppo – non appartiene solo al passato del nostro Paese.
E a proposito del fatale sorpasso, si dice che il produttore Mario Cecchi Gori avrebbe preferito un lieto fine. Perciò scommise che se l’ultimo giorno di riprese ci fosse stato bel tempo, Risi avrebbe potuto girare secondo copione, mentre se avesse piovuto avrebbero optato per un finale aperto, con Bruno e Roberto che sfrecciavano verso nuove avventure. Il resto potete immaginarlo: per fortuna del regista (e del cinema italiano) quel giorno sorse un sole forte, splendente e provvidenziale.


