IL PONTE DELLE SPIE. RECENSIONE

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Da una storia vera. Nel 1957, in piena Guerra Fredda, viene arrestato a New York il pittore Rudolf Abel (Mark Rylance), accusato dai servizi segreti americani di essere una spia dell’Unione Sovietica. La sua difesa al processo viene assunta da James B. Donovan (Tom Hanks), un brillante avvocato di Brooklyn specializzato in assicurazioni. Qualche anno dopo, lo stesso Donovan viene ingaggiato dalla CIA per risolvere un caso delicatissimo: negoziare con URSS e DDR il rilascio del pilota statunitense Francis Gary Powers, abbattuto mentre pilotava un aereo spia U2 nei cieli sovietici.
Bastano pochi minuti a Steven Spielberg per farci incollare alla poltroncina della sala. L’inizio de Il ponte delle spie è un crescendo di tensione in puro stile hitchcockiano, in cui spicca la straordinaria recitazione di Mark Rylance, attore teatrale britannico capace di irresistibili lampi di ironia dietro la maschera imperturbabile ed enigmatica.
Poi l’azione si sposta su Donovan/Hanks, intorno a cui Spielberg costruisce un film lineare, solido e sempre coinvolgente, impreziosito dai dialoghi avvincenti (in cui si sente la mano raffinata dei fratelli Coen, che hanno scritto la sceneggiatura insieme a Matt Charman) e dall’ambientazione suggestiva (alcune sequenze ambientate a Berlino sono da brividi). Ancora una volta il regista americano racconta magistralmente una pagina importante della grande Storia e, attraverso essa, parla anche del presente, facendoci riflettere su temi di urgente attualità come la paura nei confronti dello straniero o la paranoia di sentirsi continuamente spiati.
Tom Hanks (alla quarta collaborazione con Spielberg) incarna alla perfezione il protagonista, professionista di eccezionale abilità e uomo dai saldi principi, che viene tratteggiato sempre in tutta la sua umanità e mai come un supereroe.

Voto: 4/5

Il ponte delle spie (Bridge of Spies), USA, 2015. Regia: Steven Spielberg. Interpreti: Tom Hanks, Mark Rylance, Amy Ryan, Alan Alda, Sebastian Koch. Durata: 2h e 21’.

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