


Ogni volta che ascolto il rumore delle onde che si frangono sulla battigia, penso al volto attonito di Charlton Heston che fissa i resti della Statua della Libertà, alle sue parole che maledicono il genere umano, a uno dei finali più scioccanti che abbia mai visto.
L’epilogo de Il pianeta delle scimmie di Franklin J. Schaffner rende straordinario un film avvincente sin dal suo incipit, in cui è già palese l’intento dell’autore di creare un’opera in cui l’avventura e il mistero si abbinano a una costante riflessione filosofica e sociologica. È il 1968 e grazie a questa pellicola tratta da un romanzo di Pierre Boulle e, contemporaneamente, all’uscita del capolavoro di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio, il genere fantascientifico compie un eccezionale salto di qualità. Entrambi i film si possono a buon diritto considerare colonne portanti della sci-fi contemporanea.
La storia dell’astronauta Taylor che si ritrova solo in un mondo alla rovescia in cui le scimmie governano sugli uomini, è ancora oggi irresistibile con quegli effetti speciali e quel trucco che non sfigurano affatto al cospetto della computer grafica, con la sua affascinante musica d’avanguardia (del grande Jerry Goldsmith) e con quell’eroe solitario impersonato dal mitico Charlton Heston, che ci conduce in un viaggio che è meditazione su quanto lo straordinario ingegno dell’uomo cammini di pari passo con la sua avvilente idiozia.
Come ben sapete a questo film sono seguiti (e stanno seguendo ancora) sequel, remake e reboot: una serie infinita di tentativi di ripetere qualcosa che è di fatto irripetibile.


