


Ogni volta che, all’inizio de Il grande Lebowski, vedo spuntare nella corsia del supermercato Drugo in vestaglia, ciabatte e occhiali da sole che va a comprare il latte (pagandolo con un assegno!), mi dico sempre la stessa cosa: come ci si poteva non innamorare di questo personaggio? Eppure quando uscì nelle sale, nel lontano 1998, quasi nessuno sembrava essersi accorto di lui. Il settimo film di Joel e Ethan Coen fu un grosso insuccesso, salvo essere poi rivalutato anno dopo anno, visione dopo visione, diventando un vero e proprio mito e facendo sì che la filosofia lebowskiana, con tutti i suoi input e output, si infilasse inesorabilmente nelle nostre menti fino a generare dipendenza.
Ed eccoci qua, venti anni dopo, a sorseggiare per la millesima volta l’opera più stravagante, variopinta e folle dei Coen un po’ come il suo protagonista fa con l’inseparabile White Russian. Di ragioni per non stancarci mai della storia dell’inetto Jeffrey Lebowski (uno strepitoso Jeff Bridges), giocatore di bowling coinvolto in uno scambio d’identità e trascinato in una bizzarra odissea, ce ne sono innumerevoli come in ogni cult che si rispetti. Qualche esempio? I dialoghi da antologia e i colpi di scena spiazzanti, le ipnotiche sequenze oniriche e gli esilaranti tormentoni (“Il tappeto dava un tono all’ambiente”, “Stai per entrare in una valle di lacrime”), il look di Drugo e la banda dei nichilisti, le provocazioni di Jesus Quintana e le incazzature di Walter Sobchak. E naturalmente la colonna sonora che spazia da Bob Dylan agli Eagles, e un magnifico cast di attori in stato di grazia. John Goodman, Julianne Moore, Steve Buscemi, Philip Seymour Hoffman, John Turturro, Peter Stormare, Ben Gazzara e Sam Elliott, come il già citato Bridges, non solo hanno saputo dare un’anima ai personaggi partoriti dal genio dei Coen, ma sono riusciti a colorarli ed arricchirli a tal punto da renderli iconici.
Su Il grande Lebowski si è scritto di tutto di più, studiosi di cinema e di altre discipline hanno dato vita ad articoli e saggi per analizzare e decifrare il Drugo e l’universo che ruota intorno a lui. Nonostante tutto, però, resta la sensazione che non ci saranno mai abbastanza parole per spiegare questo film sui generis e travolgente come una boccia da bowling in corsa verso lo strike.


