


La carriera sportiva e la vita privata di Roberto Baggio (Andrea Arcangeli), fuoriclasse del calcio italiano e mondiale, raccontate attraverso alcuni momenti cardine del suo ultraventennale percorso nel mondo del pallone: il trasferimento dal Vicenza alla Fiorentina nel 1985, i Mondiali del 1994, gli ultimi anni da calciatore giocati a Brescia.
Un Roberto Baggio bambino che sogna di vincere i mondiali battendo il rigore decisivo si sovrappone al Roberto Baggio in maglia azzurra che sta per effettuare il tiro dal dischetto nella drammatica finale di USA ’94. Due immagini altamente simboliche scandiscono l’incipit de Il Divin Codino di Letizia Lamartire, ergendosi quasi a dichiarazione d’intenti dell’atteso biopic dedicato al grande fantasista di Caldogno.
Scavare nell’intimo, descrivere l’uomo dietro il campione, soffermandosi in particolare sul tribolato legame con il padre, i rapporti con gli allenatori, la decisiva conversione al buddismo e l’ossessione per la vittoria del Mondiale.
Un obiettivo tanto importante quanto ambizioso – soprattutto pensando al personaggio schivo, riservato e sfuggente che è stato il codino più amato d’Italia – ma che non può dirsi purtroppo centrato al termine di questo lungometraggio dalla durata (casualmente?) simile a quello di una partita di calcio.
Malgrado la sensibilità di Lamartire e una regia attenta a dribblare le trappole della retorica, Il Divin Codino appare come un racconto estremamente semplificato, che scorre via innocuo senza regalare emozioni né fremiti, e mancando l’affondo decisivo dal punto di vista introspettivo.
A incidere sul risultato finale è specialmente la struttura narrativa in tre atti pensata dagli sceneggiatori Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, che si rivela inefficace per riassumere una carriera intensa come quella di Baggio, e non solo per l’assenza di capitoli significativi della sua vita (dalla consacrazione a Italia ’90 al sofferto passaggio dalla Fiorentina alla Juventus, fino alla vittoria del Pallone d’oro). Gli stacchi tra un atto e l’altro appaiono assai bruschi, facendo perdere fluidità al film e lasciando una certa sensazione di incompiutezza.
Non meno rilevante, poi, è la scelta di relegare ai margini (a dispetto del titolo dato alla pellicola) il lato “divino” di Baggio. Dell’immenso fuoriclasse che è stato sul rettangolo da gioco, c’è davvero poco o nulla. Ed è un peccato, perché i migliori biopic sportivi – da Toro scatenato a Tonya – ci ricordano quanto sia fondamentale scrutare anche nel genio e nell’eccezionalità del campione per comprendere appieno l’essere umano.
Quel che resta de Il Divin Codino, si può sintetizzare nell’enorme fatica che si fa ad empatizzare con il protagonista per tutti i novanta minuti di film, nonostante l’ottimo lavoro di immedesimazione e di mimesi di Andrea Arcangeli. Un incredibile paradosso per un’opera che parla di Roberto Baggio, ovvero il calciatore di tutti, il campionissimo con cui un intero popolo è entrato in simbiosi.
Voto: 2/5
Il Divin Codino, Italia, 2021. Regia: Letizia Lamartire. Interpreti: Andrea Arcangeli, Valentina Bellè, Thomas Trabacchi, Andrea Pennacchi, Antonio Zavatteri. Durata: 1h e 32’.


