


Il toscano Marco Carrera, detto “il Colibrì”, conosce la ragazza dei suoi sogni, Luisa Lattes, sulla spiaggia della casa al mare quando è poco più di un ragazzino. Resterà soltanto un amore platonico, destinato però a non spegnersi mai, nemmeno dopo l’incontro con la sua futura compagna di vita Marina, che lo porterà a vivere e a lavorare a Roma. Dalla loro unione nascerà la sua unica figlia, Adele. Marco tornerà tuttavia a Firenze, sbalzato da un destino implacabile e amaro che cercherà di affrontare con l’aiuto dello psicanalista Daniele Carradori.
Tratto dall’omonimo bestseller di Sandro Veronesi vincitore del Premio Strega 2020, il dodicesimo lungometraggio diretto dalla 62enne Francesca Archibugi somiglia per certi versi all’amore mai sbocciato tra il protagonista Marco e la bella francese Luisa, interpretati in età adulta da Pierfrancesco Favino e Berenice Bejo. L’intero film ha il sapore di un appuntamento mancato, ed è attraversato in lungo e in largo da un che di incompiuto, di inespresso. Tutto ciò che racconta viene di fatto esplorato soltanto in superficie, come dimostra in particolare la descrizione dei legami tra Marco e le persone più importanti della sua vita, vero fulcro dell’adattamento firmato dalla stessa Archibugi con Laura Paolucci e Francesco Piccolo.
Il colibrì non riesce a scavare nella love story mai consumata tra Marco e Luisa, né a sviscerare il tumultuoso matrimonio con la moglie Marina. E, allo stesso tempo, fa alquanto fatica a svelare le sfaccettature del “filo” che unisce l’uomo alla figlia Adele, mentre i rapporti con gli inquieti genitori, con la problematica sorella Irene, con il fratello e con la nipote Miraijin (figura fondamentale nell’ultimo segmento dell’esistenza di Marco) appaiono appena abbozzati. Empatizzare con i personaggi, pertanto, risulta pressoché difficoltoso, con conseguente latitanza delle emozioni.
Non sembra poi essere sostanzialmente d’aiuto il continuo andirivieni temporale e la frammentazione della narrazione, e non perché il montaggio di Esmeralda Calabria manchi di fluidità. I tanti (troppi) personaggi in scena e le molte storie e microstorie che ne derivano, fanno sì che allo spettatore non resti null’altro che ricomporre il puzzle dei ricordi partorito dalla mente di Marco.
A tarpare le già fragili ali de Il colibrì contribuiscono anche l’eccesso di eventi drammatici e luttuosi che si accavallano nell’arco di poco più di due ore, diversi dialoghi piuttosto didascalici e l’apporto al di sotto delle aspettative di alcuni attori. Su tutti Kasia Smutniak, a volte fin troppo sopra le righe nella parte dell’irrequieta Marina, e Nanni Moretti, talmente rigido e ingessato nel ruolo dello psicanalista Carradori da apparire come un vero e proprio corpo estraneo al film.
Voto: 2/5
Il colibrì, Italia-Francia, 2022. Regia: Francesca Archibugi. Interpreti: Pierfrancesco Favino, Kasia Smutniak, Bérénice Bejo, Laura Morante, Nanni Moretti, Sergio Albelli, Alessandro Tedeschi, Benedetta Porcaroli, Massimo Ceccherini, Fotinì Peluso, Francesco Centorame, Pietro Ragusa, Valeria Cavalli. Durata: 2h e 6’.


