I CENTO PASSI PER RICORDARE COS’È LA BELLEZZA

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La mattina del 9 maggio 1978, mentre l’Italia piangeva l’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, a Cinisi, piccolo comune a pochi chilometri da Palermo, veniva ritrovato quel che restava del corpo di Peppino Impastato. Cosa Nostra si era servita addirittura di una carica di tritolo per sbarazzarsi di quel tenace trentenne che non aveva avuto timore di alzare la voce e denunciare le attività mafiose che avvelenavano il suo paese. Come a volerlo cancellare per sempre dalla faccia della terra.
Abbiamo rischiato seriamente di non conoscere mai Peppino, la sua vicenda sembrava destinata a rimanere nell’oblio. È stata la forza e la bellezza del cinema a far sapere agli italiani e al mondo che lui è esistito, che bisognava non dimenticare la sua lotta e il suo martirio.
I cento passi (2000) di Marco Tullio Giordana è un grande esempio di cinema d’impegno civile, che guarda alla lezione di Francesco Rosi (nel film viene citato, non a caso, Le mani sulla città), e ci restituisce il ritratto intimo di un giovane che con l’audacia, la cultura e l’ironia ha cercato di abbattere il muro dell’omertà, anche a costo di intraprendere un doloroso conflitto con il padre colluso con la mafia.
È indispensabile vedere e rivedere I cento passi non solo per mantenere viva la memoria, ma anche per la ricchezza del suo messaggio, che giunge allo spettatore con la stessa energia vitale profusa dal giovane Luigi Lo Cascio. L’attore siciliano, all’esordio nel cinema, con la sua interpretazione ci ha restituito la sensibilità e l’ardore di Peppino Impastato, riuscendo nell’impresa di far rivivere l’uomo che voleva “ricordare alla gente cos’è la bellezza, aiutarla a riconoscerla, a difenderla”.

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