


Bruce Willis, icona hollywoodiana del duro, spegne le fatidiche sessanta candeline. Eppure la star dell’action movie nata in una base militare della Germania Ovest, all’inizio di carriera aveva ben altre aspirazioni. Studiò recitazione nientemeno che da Stella Adler e si cimentò a teatro in drammi serissimi.
Ma, nel 1988, la sua carriera prese una piega diversa grazie a Trappola di cristallo, un successo inaspettato. Nell’epoca in cui Stallone e Schwarzenegger erano i re del genere, Bruce si fece amare subito dal pubblico abbinando alla durezza un’aria scanzonata da malandrino. Rispetto ai due illustri colleghi, inoltre, Willis dimostrò ben presto di dare maggior spessore ai suoi personaggi.
L’esempio più lampante è il Butch di Pulp Fiction (1994), protagonista di alcune delle sequenze più straordinarie del cult di Tarantino, oltre che di battute rimaste nell’immaginario cinefilo (“Zed è morto, piccola… Zed è morto”). Senza dimenticare il Willis duro dallo sguardo malinconico, come nel bellissimo L’esercito delle 12 scimmie (1995) di Terry Gilliam.
La notorietà gli ha dato comunque la possibilità (per nostra fortuna) di dimostrare la sua bravura in ruoli più drammatici. In particolare, ne Il sesto senso (1999) e in Unbreakable – Il predestinato (2000), entrambi di M. Night Shyamalan, ha saputo tirare fuori una straordinaria carica nostalgica: quegli sguardi silenziosi ed intensi, in fondo, ci sono rimasti nel cuore.


