


È una tarda serata losangelina quando Vincent Hanna invita Neil McCauley a prendere un caffè. Un attimo di esitazione da parte di Neil e poi eccoli sedere insieme in un affollato diner. Il tenente di polizia e il professionista del crimine, il cacciatore e la preda, l’uno di fronte all’altro, come due vecchi amici. Parlano con pacatezza e sensatezza, e intanto si scrutano, si fiutano, si ammirano reciprocamente. E si sfidano.
Siamo a metà dei centosettanta minuti di durata di Heat – La sfida (1995) di Michael Mann. Non è affatto un caso se questo momento è collocato proprio nel cuore del film. Al Pacino e Robert De Niro fanno quello che soltanto i fuoriclasse della recitazione possono fare. È un duello di fioretto il loro, fatto di parole e di silenzi, di sguardi profondi e di sorrisi lievi.
Non c’è azione, non ci sono cambi di tono, eppure si resta a guardare questa scena in apnea. I raffinati dialoghi scritti da Mann diventano oro tra le mani di Pacino e De Niro. Vincent e Neil, accomunati dalla stessa caparbia determinazione e dalla malinconica solitudine di chi ha sacrificato tutto per una causa, si confidano e rivelano i propri incubi notturni, toccando due tasselli cardine nel mosaico della vita: il tempo e la morte.
È il momento più alto di un duetto straordinario. Quella tra Al e Bob non è una gara di bravura, ma un’alleanza che ha fatto di un frammento di pellicola un’opera d’arte.


