


Da John Ford a Howard Hawks, da Sergio Leone a Sam Peckinpah. Migliaia di film, tante variazioni sul tema, stili e linguaggi diversi per raccontare il vecchio e selvaggio West. Verso la fine del Secondo Millennio uno dei generi più amati dal pubblico, il western, sembrava aver detto ormai tutto.
Ecco perché Gli spietati (1992) di Clint Eastwood, alla sua uscita nelle sale, profumava di sorpresa. Non tanto per l’originalità dei contenuti, quanto per il modo in cui è stato raccontato.
È un mondo di antieroi quello dipinto da Eastwood, dove è molto facile sbagliare la mira, dove puntare la pistola fa tremare la mano ancor prima di premere il grilletto. È un mondo dove non ci sono buoni, dove tutti sono unforgiven, “non perdonati”, come suggerisce il titolo originale, dove il rappresentate della legge (un sensazionale Gene Hackman spogliato della sua simpatia e del suo sorriso accattivante) è un uomo che fa paura e mette a disagio. È un mondo dove il protagonista è un uomo che ha ucciso senza motivo, che convive con i fantasmi delle sue vittime; che è consapevole che quando si sopprime qualcuno “gli levi tutto quello che ha e tutto quello che sperava di avere”, ma comunque non riesce a smettere di farlo. E, alla fine, esce di scena come un Angelo sterminatore.
Gli spietati è un western crepuscolare da vedere e rivedere, è il film che ci ha fatto capire che dietro quell’uomo con lo sguardo da duro che punta la pistola verso la cinepresa, c’era un regista che avrebbe fatto, di lì a poco, la storia del cinema.


