ERIN BROCKOVICH – FORTE COME LA VERITÀ

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I film d’impegno civile, quando sono ben fatti e magari tratti da storie vere, hanno la capacità di fare breccia nel cuore della gente come pochi altri. Istruiscono, provocano indignazione, appassionano, emozionano. Quando, poi, c’è di mezzo Davide che sconfigge Golia, riescono ad essere travolgenti, come nel caso di Erin Brockovich, solido dramma di Steven Soderbergh uscito nel 2000 e ispirato a una piccola ma significativa pagina di storia americana.
In questo film Golia è la Pacific Gas & Electric, una gigantesca società che, contaminando le falde acquifere della cittadina californiana di Hinkley, ha provocato tumori a centinaia di residenti. Davide, invece, ha le sembianze di un’eroina stravagante e molto sui generis. Avvolta in abiti succinti e a dir poco kitsch, così sboccata che potrebbe gareggiare col Gunny di Clint Eastwood,  Erin è una squattrinata madre di tre figli con due divorzi alle spalle, che trova impiego nello studio dell’avvocato Ed Masry. Grazie alla sua faccia tosta, ma anche al cuore grande, innesca una battaglia legale contro la PG&E che si conclude con un maxi-risarcimento di 333 milioni di dollari.
Partendo da una storia così bella e importante, l’intelligenza dell’ottimo Soderbergh è stata quella di costruire un ingranaggio impeccabile. Erin Brockovich scorre veloce e coinvolgente sulle note del sempre bravo Thomas Newman, non ha punti morti e aggira efficacemente le trappole della retorica. Ha così tanta forza da non aver bisogno di mostrare lo scontro risolutivo in tribunale e trova in una Julia Roberts in stato di grazia (premiata con l’Oscar) il suo cuore pulsante. Che sia incazzata nera o sorrida, sputi battute al vetriolo contro il suo capo (un grande Albert Finney) o si commuova di fronte a una bimba ammalata di cancro, Julia è sempre così credibile ed emozionante, che non restarne sedotti è praticamente impossibile.

 

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Amarcord

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