ELEGIA AMERICANA. RECENSIONE

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J.D. Vance (Gabriel Basso), brillante studente di giurisprudenza a Yale, è vicino a realizzare il suo sogno quando una telefonata lo costringe a tornare precipitosamente nella cittadina dell’Ohio in cui è cresciuto. Sarà l’occasione per fare i conti con un passato difficile, segnato dalle intemperanze dell’instabile madre Bev (Amy Adams) e dall’affetto di nonna Mamaw (Glenn Close), la donna che di fatto lo ha cresciuto.

Il nuovo lungometraggio di Ron Howard, tratto dall’omonimo bestseller autobiografico di J.D. Vance, porta lo spettatore sin dalle prime sequenze in un’America di periferia dimenticata da Dio e dagli uomini (siamo tra gli Appalachi, il Kentucky e il sud dell’Ohio), una terra dove la quotidianità è spesso segnata dalla povertà, la frustrazione e la violenza, e il “sogno americano” fa quasi sempre rima con “utopia”. Non a caso, il titolo originale del libro e del film è il ben più evocativo Hillbilly Elegy: un termine, hillbilly, utilizzato di solito per indicare dispregiativamente i “montanari” di certe aree arretrate degli States, ma che qui assume per ovvie ragioni un significato diverso e più profondo.
Adattato dalla sceneggiatrice de La forma dell’acqua Vanessa Taylor, Elegia americana non ha tuttavia propositi da film di denuncia, nonostante tocchi temi spinosi come quello del sistema sanitario statunitense. Howard appare soprattutto interessato a costruire un dramma familiare e generazionale basato su sentimenti universali, un viaggio nel passato dietro cui si cela quello di un’intera nazione chiamata alla (ri)scoperta delle proprie origini rurali.
Per quasi tutta la sua prima parte, questo viaggio sembra avere difficoltà a spiccare il volo, vuoi per la mancanza di particolari guizzi registici o di sceneggiatura, vuoi per un Gabriel Basso poco empatico nel ruolo di Vance adulto (molto meglio di lui l’adolescente Owen Asztalos). Eppure c’è qualcosa che tiene sempre incollati a Elegia americana, un costante senso di attesa che viene ripagato non appena il montaggio si fa più fluido e serrato e la presenza in scena delle due protagoniste femminili diventa maggiormente assidua.
Gli sguardi intensi di Amy Adams e Glenn Close, le loro parole urlate a denti stretti, i loro volti solcati dalla sofferenza e dal rimpianto diventano il sale di un racconto filmico in grado di regalare due vibranti ritratti di madre. Quello dell’irrequieta e volubile Bev, che non riesce a uscire da un tunnel di debolezze ed egoismi, e quello dell’arcigna e carismatica Mamaw, che trova nel nipote l’opportunità di rifarsi laddove ha fallito con la figlia.
Due figure che Adams e Close rendono non solo imponenti, ma anche vitali per questa storia di riscatto che, pur senza brillare per originalità, sa far riflettere sui legami familiari e sull’importanza (mai scontata) del perdono.

Voto: 3/5

Elegia americana (Hillbilly Elegy), USA, 2020. Regia: Ron Howard. Interpreti: Amy Adams, Glenn Close, Gabriel Basso, Haley Bennett, Freida Pinto, Bo Hopkins, Owen Asztalos. Durata: 1h e 56’.

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