


Il regalo per i suoi splendidi novant’anni, Clint Eastwood lo ha fatto a noi qualche mese fa, portando nelle sale Richard Jewell. Un film d’impegno civile sconvolgente e sferzante, dal quale trasudano la passione, la sagacia e l’inesauribile energia di un regista che ha ancora tanto da dire e insegnare.
Chi avrebbe mai scommesso sul suo straordinario percorso artistico nei lontani anni ’60, quando avvolto in un poncho e col sigaro stretto tra le labbra esplodeva grazie alla Trilogia del dollaro di Sergio Leone. Eppure, sin da allora, Eastwood già partoriva la sua personale idea di cinema, tanto da fondare nel 1967 una società di produzione, la Malpaso, e poi esordire dietro la macchina da presa con il thriller Brivido nella notte (1971).
E mentre il pubblico si innamorava dei suoi antieroi dai modi spicci e dalle battute laconiche (come l’indimenticabile ispettore Callaghan o il sergente Gunny Highway), scopriva un po’ alla volta anche le doti di quello che sarebbe diventato uno dei più grandi cineasti viventi. Specialmente negli ultimi tre decenni, Clint ha saputo raccontare l’America e scavare nell’essere umano come pochi altri, mettendo a tacere i molti critici ottusi che non vedevano in lui né qualità attoriali, né tantomeno registiche.
Ha affrontato con brillante disinvoltura qualsiasi genere, dal dramma romantico (I ponti di Madison County) all’avventura spaziale (Space Cowboys) fino al thriller soprannaturale (Hereafter), ma soprattutto ha firmato opere come Gli spietati, Mystic River, Million Dollar Baby, Gran Torino, capolavori talmente profondi e stratificati da solcare l’immaginario cinefilo.
Il continuo evolversi del cinema eastwoodiano è sempre stato accompagnato dall’essenzialità e dal pragmatismo sul set. Non si contano le volte in cui ha completato le riprese in anticipo rispetto al previsto, risparmiando tra l’altro sul budget (per la gioia dei produttori). “Devi avere il film bene in mente ancora prima di realizzarlo”, ha sentenziato una volta, “Se non ce l’hai, non sei un regista, se uno che tira a indovinare”.
E poi l’amore viscerale per la musica, il jazz e il pianoforte, che lo ha portato nel tempo a comporre le colonne sonore di molte sue pellicole, spesso fatte di un pugno di note in grado di insinuarsi nel cuore. La grandezza del pistolero dagli occhi di ghiaccio sta non solo nell’essere un artista a trecentosessanta gradi, ma anche nella ferrea volontà di non smettere mai di migliorarsi. Nemmeno a novant’anni suonati.


