


Quando a Mel Gibson fu inviato il copione di Braveheart, la star di Arma letale e Interceptor se ne innamorò talmente tanto da chiedere ai produttori di poterlo dirigere. Nonostante avesse alle spalle soltanto un film da regista (L’uomo senza volto, 1993), la sua sfrontatezza fu premiata.
Nel raccontare la storia di William Wallace, l’eroe scozzese che sul finire del 13° secolo guidò il suo paese alla rivolta contro gli Inglesi, Gibson riuscì a creare quello che è forse l’ultimo film epico vecchia maniera. Pochissimi effetti speciali, scene di battaglia cruente e di grande realismo con tante comparse sul campo, un uso massiccio del rallenty seguito da accelerazioni improvvise a sottolineare i momenti topici (vedi la stupenda sequenza in cui Wallace vendica la moglie uccisa), furono le mosse vincenti di Gibson in un film che spigiona pathos durante tutte le tre ore di durata.
A fare ulteriormente la differenza ci pensò il direttore della fotografia John Toll (lo stesso de La sottile linea rossa, tanto per intenderci) che illuminò e colorò le scene nelle Highlands scozzesi come fossero affreschi medievali. E infine non una, ma più ciliegine sulla torta: le musiche suggestive di un James Horner in stato di grazia, la francese Sophie Marceau al culmine della sua bellezza, una serie di attori di contorno tutti con le facce giuste.
Insomma, l’astuto Mel fu bravo e audace quanto l’eroe da lui interpretato. Ma se per Wallace non ci fu lieto fine, Gibson sbancò invece i botteghini di tutto il mondo e si portò a casa 5 Oscar: film, fotografia, montaggio sonoro, trucco e quello personale alla regia.


