BLONDE. RECENSIONE

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Lasciate ogni speranza voi che entrate nell’inferno interiore di Norma Jeane Mortenson Baker, per tutti (tranne che per se stessa) semplicemente Marilyn Monroe. Blonde di Andrew Dominik, adattamento dell’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates, è quanto di più lontano dal biopic ci possa essere. È il viaggio allucinato tra verità e immaginazione nella vita dell’attrice più desiderata e mitizzata d’America, dall’infanzia traumatica al fianco della madre disturbata fino al fatale 4 agosto 1962. È la tragica odissea, lunga centosessanta minuti, nelle fragilità della donna dietro l’icona, nella solitudine di una ragazza cresciuta senza il padre sconosciuto e anelato.
Dominik ce la narra alternando 4:3 e 16:9, bianco e nero e colore – una trovata che alimenta l’atmosfera sospesa tra realtà e sogno – e manipolando continuamente le notizie biografiche, ora attingendovi a piene mani ora tradendole senza remore (vedi il ménage à trois con Charles Chaplin jr. e Edward G. Robinson jr. o le derive dell’incontro con il presidente Kennedy).
Tutto il film, del resto, gioca sulle contrapposizioni e i contrasti. Il corpo e l’anima, i sorrisi e le lacrime, le luci e le ombre, la sfera pubblica e quella privata, e naturalmente Norma Jeane e Marilyn, due volti della stessa persona, quasi due persone diverse sotto lo stesso volto. Quella rappresentata dal regista è un’autentica scissione, che finisce per produrre due parabole opposte: più Marilyn si avvicina alla vetta del successo e della celebrità, più Norma Jeane sprofonda verso il baratro.
E per descrivere il culmine di questa frattura, Dominik sceglie la via dell’horror. L’ultima parte di Blonde è un incubo alla Mulholland Drive, in cui i demoni della diva americana prendono il sopravvento. Una conclusione coerente per un film ambizioso e coraggioso, affascinante e disturbante, a volte eccessivo e respingente, che ha la sfrontatezza di raccontare senza filtri una Hollywood feroce e sessista, di dar voce ad uno dei feti abortiti da Marilyn o, addirittura, di dissacrare il mito JFK, al centro di una scena così ardita e torbida da rasentare il trash.
Un’opera insomma da prendere o lasciare, da amare o odiare, e che si imprime nella memoria anche grazie a un’Ana de Armas di sorprendente bravura, non soltanto per il gran lavoro di mimesi. L’attrice cubana è Marilyn, con la sua voglia di affermazione, il sorriso rutilante, il corpo sensuale, bramato, violato, abusato dalla prepotenza e dalla laidezza maschile. E un attimo dopo è Norma Jeane, con i suoi occhi malinconici, la sua disperazione, l’incessante e inappagato desiderio di trovare il vero amore. Una de Armas praticamente sdoppiata, come la protagonista di questo viaggio all’inferno senza biglietto di ritorno.

Voto: 3,5/5

Blonde, USA, 2022. Regia: Andrew Dominik. Interpreti: Ana de Armas, Adrien Brody, Bobby Cannavale, Julianne Nicholson. Durata: 2h e 46’.

Foto: Netflix

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