


Aldo Moro è probabilmente il martire più famoso della storia della Repubblica italiana. Il suo sconvolgente rapimento e la sua uccisione da parte delle Brigate Rosse sono, ancora oggi, una ferita aperta per il nostro Paese. Ma Moro era anche un politico abile e giudizioso, e nel privato un essere umano profondamente dedito ai suoi affetti.
Una figura tanto importante, accompagnata da una storia complessa, non poteva lasciare indifferente il cinema. Moro ha così avuto diversi volti sul grande schermo, e ognuno di essi ha lasciato una particolare traccia nell’immaginario cinefilo.
Il primo ad affrontare l’onere di incarnare lo statista democristiano è Gian Maria Volontè nel 1986, nel film Il caso Moro di Giuseppe Ferrara. In realtà, Volontè lo aveva già interpretato in Todo Modo (1976) di Elio Petri, dove il suo personaggio era un’esplicita parodia di Moro. Nel film di Ferrara, dunque, Volontè capovolge quell’interpretazione, restituendo tutta l’umanità all’Onorevole prigioniero di un destino ineluttabile. Volonté si lascia talmente “possedere” dal personaggio, dal finire per assomigliargli fisicamente: una vera e propria reincarnazione.
Nel 2003 tocca a Roberto Herlitzka diventare Moro in Buongiorno, notte di Marco Bellocchio. Se il film può risultare controverso, la performance di Herlitzka è convincente. A restare nella memoria è, soprattutto, quell’onirica sequenza finale in cui Moro viene liberato: il sorriso e il bagliore negli occhi di Herlitzka sono lo specchio del sogno irrealizzato di milioni di italiani.
Assai particolare è il Moro de Il Divo (2008) di Paolo Sorrentino. Paolo Graziosi dà voce e corpo praticamente a un fantasma, che appare e scompare nella vita di Giulio Andreotti. “Che cosa ricordare di lei? Un regista freddo, impenetrabile, senza dubbi, senza palpiti. Senza un momento di pietà umana”. Il Moro di Graziosi è fatto di parole che sembrano provenire dall’oltretomba e torturano a fuoco lento la coscienza di Andreotti.
L’ultimo Moro visto al cinema è quello di Fabrizio Gifuni in Romanzo di una strage (2012) di Marco Tullio Giordana. Per la prima volta, però, non si tratta del Moro devastato da quell’infame prigionia durata 55 lunghi giorni, ma del politico alle prese con una pagina oscura della Storia d’Italia recente. È un Moro inedito quello di Gifuni, ma non per questo meno importante: avvolto spesso nella penombra, parla quasi affannosamente, schiacciato dal peso di un’intera nazione che ha imboccato una strada buia e pericolosa.


