


“Filmare è vivere, e vivere è filmare”. È stata una vera e propria storia d’amore quella tra Bernardo Bertolucci e la settima arte, iniziata fin da giovanissimo e conclusasi soltanto con la sua morte, sopraggiunta stamane dopo una lunga malattia.
Nato 77 anni fa a Parma, Bernardo viene cresciuto a pane e versi da papà Attilio, stimato poeta di cui sogna di seguire le orme, e già da adolescente realizza i suoi primi cortometraggi. Dopo essersi iscritto al corso di laurea in Lettere presso l’Università “La Sapienza” di Roma, Bertolucci abbandona gli studi per fare da assistente a Pier Paolo Pasolini, suo vicino di casa. È l’inizio di una lunga e proficua avventura nel mondo del cinema.
Diretti i primi film durante gli anni Sessanta, nel 1970 firma l’adattamento cinematografico del romanzo di Alberto Moravia Il conformista, con il quale ottiene la nomination all’Oscar per la sceneggiatura. Due anni dopo arriva la fama mondiale, una nuova nomination all’Oscar (stavolta per la regia) e una marea di polemiche con il provocatorio Ultimo tango a Parigi, cult istantaneo che vede protagonista un monumentale Marlon Brando. Nel 1976 è la volta di un altro film memorabile, Novecento (1976), con Robert De Niro, Gerard Depardieu e Burt Lancaster, cinque ore di grande cinema che confermano lo straordinario talento di Bertolucci. Ma il meglio deve ancora venire.
Nel 1987, infatti, mette a segno il suo più grande successo con L’ultimo imperatore, tratto dalla vera storia di Pu Yi, nato imperatore e morto cittadino qualsiasi della Repubblica Popolare Cinese. Gli americani, in particolare, si innamorano di questa avvincente pellicola epica che la notte dell’11 aprile 1988 si aggiudica ben 9 premi Oscar, compresi quelli per il miglior film, per la miglior regia e per la miglior sceneggiatura non originale.
Nei decenni successivi il maestro dirige altri sei film (tra cui Il tè nel deserto, Piccolo Buddha e The Dreamers – I sognatori), ma soprattutto riceve tanti importanti riconoscimenti alla carriera, testimonianza inequivocabile del segno profondo e indelebile che Bertolucci ha lasciato nell’immaginario collettivo cinefilo.


