


Quel volto così particolare, una vera e propria “maschera” nata per bucare lo schermo, abbiamo rischiato di non vederlo mai al cinema. Adam Driver, nato trentacinque primavere fa a San Diego, California, da ragazzo cercò di entrare nella prestigiosa Juilliard School di New York, ma fu respinto. Decise così di arruolarsi nel corpo dei Marines (si era da poco consumata la tragedia dell’11 settembre 2001), servendo l’esercito degli Stati Uniti in Afghanistan per oltre due anni. Ma la recitazione era nel suo destino. Congedato in seguito ad un infortunio, il giovane californiano tornò all’assalto della Juilliard School, stavolta con successo.
Dopo aver esordito al cinema in J. Edgar (2011), sotto la direzione del grande Clint Eastwood, la carriera di questo ragazzone alto centonovanta centimetri ha spiccato il volo. Nel 2014 si è aggiudicato la Coppa Volpi a Venezia per Hungry Hearts dell’italiano Saverio Costanzo, mentre l’anno successivo ha fatto il suo ingresso nella saga di Star Wars, nel ruolo di Kylo Ren.
Nel 2016, ecco la definitiva consacrazione con due performance memorabili. In Paterson di Jim Jarmusch ha interpretato un autista di autobus del New Jersey che scrive poesie, in Silence di Martin Scorsese un gesuita nel Giappone del 17esimo secolo (ruolo per cui ha dovuto perdere una ventina di chili).
Antidivo, apprezzato per sua umiltà, Adam è stato grande protagonista di quest’ultima stagione grazie a L’uomo che uccise Don Chisciotte di Terry Gilliam e soprattutto BlacKkKlansman di Spike Lee, dove nei panni di un detective infiltrato nel Ku Klux Klan ha conquistato la sua prima, meritatissima nomination all’Oscar. E non è ancora finita: Driver sarà a Cannes 72 (14-25 maggio 2019) con il film d’apertura The Dead Don’t Die, horror-comedy in cui è stato nuovamente diretto dall’eccentrico Jim Jarmusch.


