


Nel 1967, appena un anno dopo l’uscita dell’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia da cui è liberamente tratto, arriva nelle sale A ciascuno il suo di Elio Petri, film destinato a diventare in breve tempo un pilastro del cinema d’impegno civile.
Al centro del racconto c’è un duplice omicidio compiuto in un paesino siciliano, avvenuto in circostanze poco chiare, che viene subito liquidato come delitto passionale. Il professore Paolo Laurana, amico dei due uomini assassinati, si insospettisce e comincia a indagare alacremente per scoprire la verità.
A ciascuno il suo segna l’inizio della collaborazione di un autentico trio delle meraviglie: Elio Petri, Ugo Pirro e Gian Maria Volontè. Seduti uno di fronte all’altro a una scrivania, Petri e Pirro scrivono e puntellano una sceneggiatura che, attraverso la struttura del giallo, racconta con lucidità e una punta di sarcasmo una società governata da una classe dirigente corrotta e collusa con la mafia. Lo script viene poi tradotto in un film di novanta travolgenti minuti in cui Petri, a colpi di zoom e primissimi piani, ci catapulta in un mondo fatto di omertà, bugie, inganni, lettere anonime, politici poco raccomandabili, prelati ambigui e brutti ceffi.
Gian Maria Volontè, dal canto suo, si cala nel personaggio di Laurana con la sua proverbiale dedizione, arrivando a recarsi a Cefalù (all’insaputa di tutti) prima delle riprese per perfezionare la parlata siciliana e studiare la gente del posto. Volontè incarna il professore come meglio non si potrebbe: intellettuale comunista in contestazione col suo partito, Laurana è un uomo intelligente, onesto, sensibile, ma anche ingenuo e sessualmente incompetente, che finisce stritolato in una trappola diabolica. Tra gli altri interpreti si distinguono Gabriele Ferzetti, anima nera del film, e Irene Papas, bellissima e misteriosa come la Sicilia.
Accompagnato dalla splendida colonna sonora di Luis Bacalov infarcita di percussioni (geniale la variazione del tema principale a ritmo di samba), A ciascuno il suo si chiude con un finale beffardo che amareggia e indigna: il giusto non solo soccombe, ma diventa addirittura oggetto di scherno da parte di un ambiente in cui cinismo ed ipocrisia la fanno da padroni.


