


Il 2019 comincia nel segno di un anniversario importante. Il 3 gennaio 1929 nasceva a Roma uno dei registi più geniali, rivoluzionari e imitati della storia, Sergio Leone. Un uomo a cui il cinema evidentemente scorreva nelle vene: suo padre era il regista Roberto Roberti (al secolo Vincenzo Leone), sua madre l’attrice Bice Waleran (nome d’arte di Edvige Valcarenghi).
Cresciuto di fatto sul set, Sergio firmò dal 1961 al 1984 sette film, uno più stupefacente dell’altro. E non è una frase di circostanza, basta soltanto leggere i titoli di queste pellicole per essere percorsi da un brivido: Il colosso di Rodi (1961), Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965), Il buono, il brutto, il cattivo (1966), C’era una volta il West (1968), Giù la testa (1971), C’era una volta in America (1984).
Raccontare in breve la grandezza di un uomo e un artista che il destino ci ha portato via troppo presto (nel 1989, ad appena 60 anni) è impresa ardua. Meglio affidarsi alle sue stesse parole per descrivere quella mente illuminata che ha saputo regalarci emozioni, suggestioni, sogni.
1. “Il cinema deve essere spettacolo, è questo che il pubblico vuole. E per me lo spettacolo più bello è quello del mito. Il cinema è mito”.
2. “Non si è registi soltanto a Cinecittà, sul set o in moviola. Ogni cosa che intuisci e ascolti, ogni cosa che vedi o ti raccontano diventa materia cinematografica. Una deformazione professionale ti costringe a osservare tutto come attraverso il monocolo della macchina da presa”.
3. “Quando scatta in me l’idea di un nuovo film ne vengo totalmente assorbito e vivo maniacalmente per quell’idea. Mangio e penso al film, cammino e penso al film, vado al cinema e non vedo il film ma vedo il mio…”.
4. “Tra sceneggiatore e regista, non c’è dubbio, viene per primo il regista. Nessuno sceneggiatore si faccia illusioni al proposito. Ma lo scrittore viene per secondo. Non si facciano illusioni nemmeno i registi”.
5. “Giro film per il pubblico, sono un regista popolare per scelta e per vocazione, ma non penso certo al pubblico mentre sto girando un film. Non servirebbe, del resto. Sono convinto che mettersi a tavolino, per studiare un soggetto popolare, dosandone tutti gli ingredienti come un erborista (e pare che qualcuno lo faccia davvero), sia un atteggiamento completamente sbagliato”.
6. “Quando vado al cinema, spesso mi sento frustrato perché sono in grado di indovinare esattamente cosa succederà dieci minuti dopo. Così, quando lavoro a un soggetto, cerco sempre l’elemento della sorpresa. Lavoro duro per tener desta la curiosità della gente”.
7. “Il regista sono io. Se ti voglio con la barba, datti da fare perché cresca immediatamente. Se cambio idea, tagliala. Sono io che decido”.
8. “Gli attori, devo averlo detto altre cento volte, sono come bambini. Come bambini particolarmente viziati, qualche volta adorabili, altre volte fustigabili. Devi adularli e sgridarli, devi trattarli in un modo specialissimo, come se non fossero precisamente esseri umani. Più che amarli, personalmente, li tratto amorevolmente, fino a spingerli a innamorarsi di me”.
9. “Avevo bisogno più di una maschera che di un attore, ed Eastwood a quell’epoca aveva solo due espressioni: con il cappello e senza cappello”.
10. “Robert De Niro si butta nel film e nel ruolo assumendo la personalità del personaggio con la stessa naturalezza con cui uno potrebbe infilare un cappotto, mentre Clint Eastwood indossa un’armatura e abbassa la visiera con uno scatto rugginoso. Bobby, prima di tutto, è un attore. Clint, prima di tutto, è un divo. Bobby soffre, Clint sbadiglia”.


