


Le riprese de Il postino erano appena terminate quando il cuore fragile e ballerino di Massimo Troisi si fermò per sempre. Era il primo pomeriggio del 4 giugno 1994 e l’attore partenopeo aveva soltanto quarantuno anni. “Questo film lo voglio fare con il mio cuore”, aveva detto a Renato Scarpa sul set di una pellicola fortemente voluta, per la quale si era prodigato instancabilmente, nonostante la salute precaria e a dispetto della sua proverbiale pigrizia. Come se, in qualche modo, sapesse di avere i giorni (e i battiti) ormai contati.
In poco più di un decennio, Troisi aveva avuto sul cinema italiano un impatto straordinario. Ricomincio da tre (1981) e Scusate il ritardo (1983), due commedie fresche, innovative, delicate e “malincomiche”, furono le prime travolgenti prove cinematografiche del suo genio, cui fece seguito l’incredibile successo di Non ci resta che piangere (1984) al fianco dell’amico Roberto Benigni. Quindi, nel 1987, l’esigenza di passare a un cinema più impegnato con Le vie del Signore sono finite, film a cui sono particolarmente legato, visto che la maggior parte delle riprese si svolsero nella mia città, Lucera. I ricordi di quei giorni speciali sono ancora vividi nella memoria della mia gente e, dopo oltre trent’anni, certi angoli del centro storico lucerino parlano ancora di lui.
Le vie del Signore sono finite testimoniò la crescita del Troisi regista e la naturale maturazione di un attore unico, che quel mostro sacro di Ettore Scola volle protagonista di ben tre sue pellicole, Splendor (1989), Che ora è? (1989) e Il viaggio di Capitan Fracassa (1990). La toccante interpretazione al fianco di Marcello Mastroianni nel secondo di questi film gli valse la prestigiosa Coppa Volpi a Venezia.
Con Pensavo fosse amore… invece era un calesse (1991) e Il postino (1994) – per cui fu candidato all’Oscar post mortem – il “Pulcinella senza maschera” ci regalò le ultime poetiche riflessioni sull’essere umano e sull’amore. Poi, per chi lo ha amato, venticinque lunghi anni di vuoto e di rimpianti, ma sempre accompagnati da una sensazione tenera e carezzevole. Quelle emozioni provate nel rivedere i suoi film o gli sketch della Smorfia, nel riascoltare una vecchia intervista o nel citare le sue battute, sono il segno che le vie di Massimo non sono mai finite.


