20 ANNI SENZA STANLEY KUBRICK

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Era l’alba del 7 marzo 1999 quando Stanley Kubrick veniva stroncato da un infarto nel sonno, all’età di 70 anni. Il genio riservato e solitario se ne andò in silenzio, lontano da occhi indiscreti, nella sua villa settecentesca situata nella verdeggiante cittadina di St Albans, Regno Unito. Volendo immaginare quel momento, sembra quasi di vedere davanti agli occhi una scena di uno dei suoi sommi capolavori, Barry Lyndon.
L’amarezza per quell’addio improvviso fu mitigata in parte dal fatto che, di lì a pochi mesi, sarebbe uscito il suo tredicesimo (e quindi ultimo) lungometraggio, Eyes Wide Shut, da poco terminato. I detrattori vollero vedere a tutti i costi qualcosa di incompiuto in quel film, che invece fu uno spettacolo folgorante per gli occhi e per la mente. Chi ebbe la fortuna di vivere certe emozioni allora, in sala, ne è testimone.
Nelle discussioni tra cinefili, in questi ultimi vent’anni, ci siamo chiesti spesso quanti altri film avrebbe fatto se fosse vissuto più a lungo, in quali progetti si sarebbe tuffato con la sua dedizione maniacale, se avrebbe esplorato altri generi (versatile com’era), in che modo si sarebbe rapportato con i nuovi strumenti che la tecnologia ha offerto al cinema negli ultimi decenni. Non lo sapremo mai, ma lo abbiamo immaginato riguardando di anno in anno le perle che compongono la sua filmografia, da Lolita a 2001: Odissea nello spazio, da Arancia meccanica a Full Metal Jacket. Opere che continuano a parlarci e a dirci cose sempre nuove, un tesoro unico lasciato come eredità quella mattina del 7 marzo, quando Kubrick spiccò il volo verso la Porta delle stelle, direzione Giove e oltre l’infinito.

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